I PFAS, sostanze perfluoroalchiliche, sono composti organici di sintesi, ossia artificiali, costituiti da catene più o meno lunghe di atomi di carbonio legati ad atomi di fluoro e da gruppi di altri elementi chimici. I legami carbonio fluoro sono tra i più forti della chimica organica e conferiscono stabilità chimica e termica a molti PFAS.
Sono proprio questi legami a dare ai PFAS le caratteristiche per cui vengono largamente impiegati in molti settori industriali, ma, contemporaneamente, sono anche il motivo che li rende sostanze molto inquinanti, avendo un’elevata resistenza ai processi di degradazione esistenti in natura: fotolisi, idrolisi, degradazione biotica aerobica e anaerobica.
Nella numerosa famiglia dei PFAS i composti più conosciuti e maggiormente utilizzati nei prodotti industriali e di consumo per l’uomo sono i PFOA (acido perfluorottanoico) e i PFOS (acido perfluorottanosulfonato).
Queste sostanze, essendo le più impiegate, sono i composti fluorurati maggiormente riscontrati nei campioni ambientali.
PFAS dove si trovano maggiormente? Proprietà e utilizzi nel settore industriale
Le caratteristiche chimiche dei PFAS li rendono perfetti per l’utilizzo in campo industriale. Hanno proprietà tensioattive e sono in grado di rendere i prodotti impermeabili all’acqua, ai grassi, allo sporco, di resistere al calore e a molti agenti chimici.
I PFAS vengono impiegati dagli anni ’50 per la produzione di numerosi prodotti commerciali:
- pentole antiaderenti;
- detersivi e cera per pavimenti;
- carta forno, cartoni per la pizza e, in generale, il rivestimento dei contenitori per il cibo;
- cosmetici;
- impermeabilizzanti per tessuti, tappeti e pelli;
- insetticidi;
- schiume antincendio;
- vernici ecc.
L’utilizzo più noto di questi composti è nell‘industria alimentare, per il rivestimento antiaderente delle pentole da cucina (Teflon®) e nell’industria tessile, per la produzione dei tessuti tecnici (GORE-TEX®, Scotchgard™).
Contaminazione da PFAS: un problema globale
Nonostante il loro lungo utilizzo nel settore industriale, oggi queste sostanze sono passate alla ribalta, più che per i vantaggi di applicazione, per la contaminazione ambientale che hanno prodotto negli anni.
I PFAS si definiscono sostanze persistenti perché, essendo difficilmente biodegradabili, non si decompongono ma si accumulano nell’ambiente.
Attraversano il suolo, passano nelle falde acquifere, inquinano le acque ed entrano nella catena alimentare, andando ad infiltrarsi nella vegetazione, nelle coltivazioni, negli animali e negli alimenti. Inoltre, poiché si diffondono attraverso l’aria e l’acqua, possono essere trasportati anche a grande distanza dalla fonte di emissione. Tracce di PFAS, infatti, sono state rilevate in Antartide, nei ghiacci, nei mari e in ogni oceano.
I PFAS persistono anche negli organismi viventi, compreso l’uomo, dove risultano essere tossici ad alte concentrazioni (basti pensare che uno studio del 2016 ha stimato che ai reni umani servano dai 10 ai 56 anni per eliminare i PFAS più persistenti).
PFAS Veneto: un problema ancora aperto
Nel 2013 in Veneto è stato scoperto uno dei più gravi casi di inquinamento ambientale degli ultimi 40 anni. L’area che comprende le province di Padova, Vicenza e Verona è risultata essere pesantemente inquinata dai PFAS.
In seguito al rilevamento di questi composti nell’acqua potabile di alcuni comuni è stata condotta un’indagine che ha accertato che le acque di falda erano state contaminate dagli scarichi di un’industria della zona.
La Regione Veneto, tramite l’istituzione di una Commissione Tecnica Regionale, ha repentinamente messo in atto una serie di azioni al fine di valutare l’esposizione della popolazione residente a queste sostanze e i possibili rischi per la salute pubblica.
I risultati dei monitoraggi biologici hanno messo in evidenza la presenza di un elevato tasso di PFAS nel sangue della popolazione. Il corpo umano, infatti, non è in grado di eliminare i PFAS che si accumulano nell’organismo, che si legano alle proteine del sangue e vengono poi recuperati durante la filtrazione renale.
La concentrazione di PFAS è alta nei pressi dei luoghi in cui vengono prodotti o lavorati. Per questo, nella valutazione dei rischi di esposizione, bisogna monitorare la quantità di contaminanti assorbiti dalla popolazione tramite prelievi del sangue. La quantità totale presente nell’organismo è data anche da un’esposizione durata per anni o avvenuta anni prima.
Dagli studi è emersa la necessità di predisporre un piano di attività per la presa in carico degli esposti alla contaminazione coinvolgendo tutti i soggetti istituzionali competenti coinvolti (Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, OMS, Centri di ricerca).
https://www.regione.veneto.it/web/sanita/pfas-popolazione-esposta
Limiti di legge e provvedimenti sanitari
Fino alla scoperta dei PFAS nell’acqua potabile non esistevano limiti di legge per queste sostanze né a livello italiano né europeo. In seguito, si sono rese necessarie una serie di azioni volte alla tutela della salute pubblica.
I limiti sono stati introdotti però tardivamente.
A seguito dei vari solleciti della Regione Veneto, il 29 gennaio 2014 il Ministero della Salute ha comunicato i valori massimi di performance individuati pari a 300 ng/l per i PFOS, 500 ng/l per i PFOA e 500 ng/l per gli altri PFAS.
Tra i provvedimenti resisi necessari al fine di limitare i danni di inquinamento da PFAS troviamo:
– definizione dell’area di esposizione;
– biomonitoraggio biologico per valutare l’esposizione pregressa della popolazione residente nell’area maggiormente esposta;
– presa in carico della popolazione esposta alla contaminazione da PFAS;
– progettazione di acquedotti emergenziali per prelevare l’acqua destinata alle case da fonti non inquinate;
– l’installazione di specifici filtri a carboni attivi;
– monitoraggio costante e controllo sulle acque;
– monitoraggio sugli alimenti;
– costruzione di un acquedotto di emergenza di circa 22 chilometri che porterà a migliaia di persone acqua non inquinata da sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche.
https://www.aulss8.veneto.it/nodo.php/3440
Modalità di esposizione delle persone ai PFAS
Una delle esposizioni principali dell’uomo ai PFAS è per via alimentare.
Le persone sono esposte a questi inquinanti tramite gli alimenti, che a loro volta sono contaminati da terreno e acqua inquinati utilizzati per coltivarli, dai mangimi e dall’acqua utilizzati per allevare gli animali, dagli imballaggi alimentari o dalle attrezzature utilizzate durante le lavorazioni alimentari.
Altre modalità di esposizione sono per inalazione e ingestione di polveri.
Ma quali sono i rischi per la popolazione che entra in contatto con questi inquinanti chimici?
Effetti avversi di PFOA e PFOS
È stato dimostrato che i PFAS più noti, l’acido perfluoroottansulfonico (PFOS) e l’acido perfluoroottanoico (PFOA), a lunga esposizione sono in grado di causare un’ampia gamma di effetti avversi per la salute dell’uomo.
– L’esposizione prolungata a PFOA, PFOS e altri composti simili interferisce con la comunicazione intercellulare, fondamentale per la crescita della cellula, aumentando così la probabilità di crescite cellulari anomale, con conseguente formazione di tumori, specie in caso di esposizione cronica
– I PFAS sono riconosciuti a livello medico come endocrini e per questo sarebbero in grado di alterare tutti i processi dell’organismo che coinvolgono gli ormoni responsabili dello sviluppo, del comportamento, della fertilità e di altre funzioni cellulari essenziali.
– Recenti ricerche hanno messo in luce l’incremento delle patologie neonatali e di ipertensione in gravidanza nelle aree più contaminate. Queste sostanze sembrerebbero direttamente implicate nello sviluppo del diabete gestazionale, di malformazioni maggiori tra cui anomalie del sistema nervoso, del sistema circolatorio e alterazioni cromosomiche nel feto.
– I PFAS sembrerebbero essere correlati anche allo sviluppo di malattie della tiroide, della colite ulcerosa, dell’aumento del colesterolo e di molte altre patologie.
I tempi necessari affinché i livelli di PFAS nel sangue dell’organismo umano, in assenza di esposizione, si dimezzino è circa 5,4 anni per il PFOS e di circa 3,8 anni per il PFOA, con differenze di genere. Nei maschi i tempi di dimezzamento sono più lunghi che nelle femmine. Valori molto minori sono stati descritti per PFBS (30 giorni) e per PFBA (3 giorni).
https://www.aulss8.veneto.it/nodo.php/3440
NB. Normalmente nelle zone inquinate da PFAS sono presenti anche altri agenti inquinanti, per questo non è possibile stabilire in maniera univoca e certa quali siano i diretti responsabili dei problemi di salute della popolazione locale.
Gli stessi studi indicano che gli effetti riscontrati devono essere interpretati con cautela poiché è difficile stabilire un nesso causale certo.
Anche se sono necessari ulteriori approfondimenti per una sicura conferma della correlazione diretta tra le patologie citate e l’esposizione a queste sostanze, le aziende sono tenute ad abolire questi materiali privilegiandone altri meno inquinanti.
Soluzioni e comportamenti futuri
Purtroppo l’inquinamento da PFAS non è un problema solo italiano, anche in Europa, Stati Uniti e Australia ci sono stati gravi casi di inquinamento ambientale e contaminazione della popolazione a causa degli scarichi industriali.
La Convenzione di Stoccolma, che opera a livello mondiale per la protezione dell’ambiente e della salute dell’uomo dagli inquinanti, ha inserito i PFOA tra le sostanze la cui produzione è vietata o limitata, mentre per i PFOS gli utilizzi consentiti sono stati fortemente limitati.
I PFAS sono ormai ovunque e molti chimici ambientali lanciano l’allarme, sostenendo che i danni di queste sostanze siano ad oggi ancora troppo sottovalutate e poco conosciute.
E’ in atto una contaminazione globale difficile da arginare e di cui è problematico stabilire con certezza danni e possibili conseguenze a lungo termine.
L’unica azione da dover mettere in atto nel più breve tempo possibile è la cessazione dell’utilizzo di queste sostanze chimiche persistenti prediligendone altre.
Come difendersi dai PFAS nel settore alimentare?
Materiali come la polpa di cellulosa, le foglie di palma, il Mater-be ecc. sono soluzioni valide ed ecosostenibili che con il tempo vengono sempre più utilizzate dall’industria del packaging e della ristorazione per produrre piatti e bicchieri monouso in sostituzione della plastica.
Il problema nell’utilizzo di questi prodotti nasce perché, non essendo ancora stata approvata in Ue una normativa che limiti l’impiego dei PFAS, l’importazione dei prodotti, fino ad oggi, non è soggetta a controlli specifici. Nel settore alimentare tra i maggiori produttori di polpa di cellulosa figurano Vietnam e Cina.
Soluzioni alternative
Come per tutti i materiali, se si vuole avere la certezza di utilizzare stoviglie di alta qualità e sicure per la salute, bisogna sempre fare attenzione alla provenienza del monouso, non avere come unico criterio di scelta l’economicità dei prodotti e affidarsi ad aziende produttrici serie, accreditate e specializzate nel settore produttivo di materiali a contatto alimentare. I prodotti monouso compostabili in polpa di cellulosa devono essere certificati da un ente di Certificazione ai sensi della norma UNI EN 13432:2002.